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Meno soldi ma servizi e motivazione: gli incentivi in tempo di crisi

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Rebus incentivi. L’assottigliamento dei bilanci aziendali ha posto un vero rompicapo ai responsabili delle risorse umane: in epoca di magra, come aumentare la produttività dei dipendenti e tenersi stretti gli elementi migliori, mettendoli al riparo dagli ammiccamenti dei competitor? E sorprendente appare la via d’uscita: non di solo denaro vive la fedeltà e la resa dei dipendenti. In altre parole, il mero benefit cede il passo a un concetto più sfumato e meno materiale: la motivazione. «In effetti, non bastano le gratifiche economiche per assicurarsi gli elementi più validi», sottolinea Filippo Abramo, presidente AIDP (Associazione italiana per la direzione del personale).

«I capi d’azienda e direttori del personale si rendono conto sempre di più che è fondamentale coinvolgere i manager nelle decisioni, renderli partecipi e responsabili della vita d’impresa: questo è spesso un incentivo più importante del denaro.

Un altro tema fondamentale è poi quello dei servizi ai dipendenti, oltre la logica del benefit. Per esempio, le aziende che offrono l’asilo nido interno suscitano, soprattutto nelle dipendenti, un senso di appartenenza di gran lunga rafforzato». Di «grave deficit motivazionale» in Italia, sia nel pubblico che nel privato, parla Paolo Iacci, presidente Bcc CreditoConsumo, una startup bancaria che ha circa un anno di vita (Iacci è anche vicepresidente Aidp, l’assiciazione dei direttori del personale). «Quando abbiamo messo in piedi la nostra azienda – dice abbiamo voluto dare forte priorità al tema della motivazione: grande rilevanza ha avuto per noi il mix delle persone, dal primo all’ultimo dei collaboratori.

La chiarezza nei compiti, nei ruoli e nelle responsabilità è un’altra leva decisiva. Abbiamo poi puntato sulla formazione ricorrente, che dà il senso dell’investimento sulle persone».

Gli esperti delle risorse umane, per l’appunto, distinguono ora tra "incentivi motivanti" e "fattori di manutenzione", quelli, cioè, che evitano l’insorgenza dell’insoddisfazione. E il denaro fa parte dei secondi.

«Ora si sta lavorando sugli incentivi non monetari, che fanno leva sulle risorse interne delle persone», spiega Gabriele Gabrielli, docente di Organizzazione e gestione delle risorse umane alla Luiss di Roma (un passato da responsabile del personale in grandi aziende, come Ferrovie o Wind). «Un aumento di stipendio ovviamente fa sempre piacere, ma suscita una motivazione poco durevole. Gli incentivi non monetari, viceversa, sono i più motivanti: per esempio, l’affidamento di mansioni che corrispondano alle aspettative e alle aspirazioni del dipendente».

La formazione e lo sviluppo (cioè un percorso chiaro di carriera su cui il personale sa di poter contare) sono in cima alla classifica degli incentivi "immateriali". «Sul management – aggiunge Gabrielli ha un impatto molto forte anche quello che chiamiamo il working environment, cioè l’ambiente di lavoro: si va dagli orari, che possono essere rigidi o flessibili, a tutta una serie di servizi, come il parcheggio o l’offerta di wellness».

Da qualche anno si stanno facendo strada approcci psicologici alla motivazione delle risorse umane, come il counseling e il coaching, che hanno matrici molto simili.

Qui la figura tradizionale e un po’ sbiadita dello psicologo ha lasciato campo al pragmatismo di nuovi consulenti, coach e counselor. «Le insoddisfazioni e i disagi, la scarsa valorizzazione delle competenze individuali incidono profondamente sul benessere, la motivazione e, in ultima analisi, sulla produttività dei lavoratori», afferma Claudia Montanari, fondatrice e presidente dell’ASPIC, Scuola superiore europea di counseling professionale.

«Quando sul posto di lavoro si riducono i livelli di motivazione e coinvolgimento e aumentano quelli di ansia, di stress, di impotenza, di alienazione, può essere opportuno un intervento di counseling. Nello specifico, il counseling aziendale mira a favorire il dialogo tra l’organizzazione e le sue risorse interne.

Questo tipo di intervento può essere richiesto anche laddove l’organizzazione viva profondi cambiamenti, sempre più frequenti di fronte alle costanti rivoluzioni tecnologiche e alle alterazioni del mercato.

Non si tratta di fornire al soggetto soluzioni già pronte, quanto piuttosto di aprire un percorso di consapevolezza che aiuti gli individui a crescere, a raggiungere uno stato di benessere, attraverso la scoperta e la chiarificazione di bisogni e desideri».

di Andrea Rustichelli, Economia & Finanza, repubblica.it
 

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